Sarà ospitato all’interno dello «Ieo-3», il nuovo modulo dell’ospedale di via Ripamonti. Il suo impiego sarà utile soprattutto per i tumori pediatrici e per alcune neoplasie degli adulti, in particolare quelle vicino a organi vitali
Anche Milano avrà il suo Proton Center, dopo quelli di Pavia, Trento e Catania. Sorgerà all’Istituto Europeo di Oncologia, che lo ospiterà all’interno dello «Ieo-3», il nuovo modulo dell’ospedale di via Ripamonti la cui ideale «prima pietra» è stata posta mercoledì in occasione della presentazione del progetto relativo al futuro centro di radioterapia a particelle pesanti che sarà pronto per il 2020. «Investiremo 40 milioni per realizzare questa struttura» ha detto Mauro Melis, amministratore delegato dello Ieo. «Uno sforzo in linea con la nostra missione di fornire ai malati le migliori terapie con il minor impatto possibile in termini di effetti indesiderati».
«La terapia protonica ha proprio questo scopo», concorda Roberto Orecchia, direttore scientifico Ieo e professore di Radioterapia all’Università di Milano, «perché permette, rispetto alla radioterapia convenzionale, di salvaguardare di più i tessuti sani vicini al tumore e di convogliare una dose maggiore di energia su di esso». «Il suo impiego sarà utile soprattutto per i tumori pediatrici e per alcune neoplasie degli adulti», precisa la professoressa Barbara Jereczeck, che dirige la Radioterapia allo Ieo. «In particolare quelle vicino a organi vitali o ad aree particolarmente sensibili alla tossicità dei raggi, come cervello o spina dorsale, oppure tumori a geometria complessa, come quelli del distretto testa-collo, o, ancora, per tumori che non rispondono più alla radioterapia».
Queste le indicazioni per ora riconosciute. «Ma le ipotesi di utilizzo della protonterapia si stanno ampliando parecchio», precisa Orecchia.
La tecnica si fonda sull’utilizzo di protoni (particelle molto più pesanti dei fotoni utilizzati nella radioterapia tradizionale) che vengono accelerati attraverso un’apparecchiatura chiamata ciclotrone, fino a una velocità pari a circa la metà di quella della luce e poi concentrati in fasci e rilasciati con estrema precisione sulla sede del tumore.
L’enorme accelerazione dota i protoni di un’energia che raggiunge i 230 MeV (Mega Electron Volts) , rispetto ai 30 MeV della radioterapia tradizionale, il che consente di colpire bersagli fino a 30 centimetri di profondità all’interno del corpo. Inoltre la maggior parte dell’energia viene rilasciata sul tumore, dove esercita il massimo del suo effetto distruttivo, senza «disperderla» sui tessuti limitrofi. «La protonterapia non sostituirà però la radioterapia»sottolinea Orecchia, «bensì ma la affiancherà e la integrerà».
Anche perché i costi sono parecchio più alti. «Ciò rappresenta per ora il principale limite all’utilizzato esteso dei protoni» commenta il direttore scientifico dello Ieo. «Per questo sarà utilizzata sui pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne il massimo beneficio. Nel mondo sono in corso molti studi per confrontare le due metodiche, e lo Ieo farà la sua parte per contribuire alla definizione degli standard per lo sfruttamento delle potenzialità di questa tecnologia».
Secondo stime internazionali il 20 per cento dei pazienti oncologici potrebbe beneficiare della terapia protonica, mentre attualmente quelli trattati non superano lo 0,8% fra quelli sottoposti a radioterapia. In Italia i malati candidabili si valutano fra i 7 mila e i 10 mila. Per adesso il Sistema Sanitario Nazionale ha incluso nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) il trattamento con terapia protonica per 10 tumori , ma non ha ancora quantificato il corrispondente rimborso.
Da Corriere.it